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Lutto – è venuto a mancare il prof. Alessandro Pignatti
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Gli anni triestini di Alessandro Pignatti (1930–2025)
Alessando (“Sandro”) Pignatti, uno dei maggiori botanici ed ecologi Italiani, nacque a Venezia da padre mantovano e madre modenese. Ragazzo prodigio, entrò all'università a 17 anni. Alunno del prestigioso Collegio Ghislieri, si laureò in Biologia nel 1954 presso l'Università di Pavia. Dopo la laurea ottenne delle borse di studio prima a Barcellona, poi a Montpellier, dove nel 1953 fu allievo del grande fitosociologo Josias Braun-Blanquet (1884-1980). In Francia incontrò la futura moglie, Erika Wikus, ricercatrice austriaca che sposò nel 1956 e che lo sosterrà validamente in molte ricerche, con cui ebbe ben cinque figli. Pignatti fu assistente e professore incaricato di Botanica a Pavia dal 1955 e a Padova dal 1958. Nel 1962 divenne professore ordinario di Botanica a Trieste (1962-1982), ove visse quello che forse fu il periodo più produttivo della sua vita, fondando la scuola geobotanica triestina e scrivendo i monumentali tre volumi della “Flora d'Italia”, pubblicata nel 1982. Nel 1983 divenne professore di Ecologia vegetale all' Università di Roma “La Sapienza” (1983-1988), rimanendo attivo quale professore emerito presso il medesimo ateneo, ove lavorò alla seconda edizione della “Flora d'Italia”, pubblicata in 4 volumi tra il 2017 e il 2019. Pignatti fu membro dell' Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell'Accademia delle Scienze di Torino, dell'Accademia Slovena, dell'Accademia di Cordoba (Argentina), dell'Accademia Europea di Bolzano, socio onorario dell'Accademia Italiana di Scienze Forestali e Grande Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana. Dal 1999 divenne socio dell'Accademia Nazionale dei Lincei. Presidente della Società Botanica Italiana e dell' International Association for Vegetation Science, Pignatti ricevette prestigiosi riconoscimenti come la Medaglia d’oro OPTIMA (1983), varie onorificenze accademiche e un dottorato honoris causa dall’Università di Uppsala. Fu autore di centinaia di articoli scientifici, di monumentali opere come “Flora d’Italia”,“I Boschi d’Italia”, “Plant Life of the Dolomites” e di libri di grande impatto come “Assalto al Pianeta” (scritto in collaborazione con l'economista Bruno Trezza), che hanno ispirato e formato intere generazioni.
All' inizio degli anni '60, a Trieste vennero fondati gli Istituti Biologici dell'Università. Come direttore del neonato Istituto di Botanica, Sandro Pignatti si accinse all'arduo compito di ricostruire dal nulla una tradizione che a Trieste aveva robuste e importanti radici, ormai purtroppo quasi soffocate dai tragici eventi che avevano colpito la città dopo le due guerre mondiali. A lui va dato il merito di aver fondato a Trieste una vera e propria "Scuola". Nei lagunari anni giovanili si era occupato anche di alghe, contribuendo non poco alla rinascita dell' algologia in ltalia. Per quanto i suoi interessi fossero ormai centrati sulla flora e vegetazione terrestri, giunto a Trieste Pignatti si sforzò di far rinascere le antiche e nobilissime tradizioni locali nel campo della biologia marina. Nel giugno del 1966 la nave oceanografica Sea Queen effettuò una crociera nel mare Adriatico nell'ambito di un progetto del C.N.R, e Pignatti coinvolse in queste ricerche anche il personale scientifico dell' Istituto, tra cui Giovanni Cristofolini e Duilio Lausi. E qui successe una specie di "miracolo": l'équipe di giovani e relativamente inesperti ricercatori riuscì a svolgere uno dei primi importanti studi di ecofisiologia in ambiente marino mai effettuati in Italia. Seguì un'altra crociera, questa volta nel Mare Tirreno con la nave "Entella", cui si aggregò uno studentello di primo pelo, Enrico Feoli. Mediante un ecografo furono osservati strani strati di riflessione degli ultrasuoni che apparivano in zone profonde, che si dimostrarono dovuti alla presenza di notevoli quantità di fitoplancton a profondità inusitate. Le ricerche di biologia marina proseguirono nel Golfo di Trieste: Pignatti preparò una prima chiave all'identificazione delle alghe del Golfo, utilissima anche per gli studenti come me a cui veniva richiesto di preparare, oltre al classico erbario, anche un “algario”. I risultati di queste ricerche vennero sintetizzati in un articolo in cui, per la prima volta, si tentò di quantificare la produttività primaria netta di un ecosistema bentonico in Italia. Studi del genere erano del tutto originali nel panorama scientifico nazionale dell'epoca: niente male per un gruppo di giovani botanici "terrestri"! Gli studi in Biologia Marina iniziati da Pignatti vennero poi proseguiti da Edmondo Honsell, Laura Talarico, Guido Bressan, Angela Ghirardelli, Marina Cabrini e Annalisa Falace.
A partire dagli anni '70, Pignatti cominciò a occuparsi di quello che diverrà il suo Opus Magnum: la Flora d'Italia. La conseguenza fu un rapido abbandono delle ricerche in ambiente marino, mentre
continuarono le ricerche in ambiente terrestre, inizialmente centrate sulla vegetazione del Carso Triestino. Trieste è una strana città, sospesa fra il Mediterraneo e l'Europa Orientale, un punto di transizione ove si incontrano e si scontrano il mondo Latino, quello Slavo, quello Germanico, così come climi, flore e faune diverse. In pochi minuti si passa da Muggia, una Venezia in miniatura, attraverso paesini in cui si parla Sloveno, sino al centro della "piccola Vienna sul mare". In pochi minuti Pignatti e sua moglie Erika portavano gli studenti, nella prima escursione primaverile, dalla verdeggiante macchia mediterranea alla brulla landa carsica, ove fiorisce una genziana simile a quelle delle vette Alpine: presso S. Croce c'è una fascia di pochi metri ove la lecceta cede il passo al bosco caducifoglio: lì generazioni di ragazzi hanno meditato sul brusco passaggio tra due mondi, quello Mediterraneo e quello Centroeuropeo. Per l'ambiente terrestre, il primo assistente scelto da Pignatti fu Livio Poldini, da poco laureatosi a Padova, cui fu inizialmente assegnato lo studio della vegetazione della Costiera Triestina e che presto divenne uno dei più grandi esperti sulla flora e vegetazione del Friuli Venezia Giulia.
Nel 1961 Pignatti, assieme a Erwin Aichinger (Klagenfurt) e Max Wraber (Lubiana) fondò l'Ostalpin-Dinarische Pflanzensoziologische Gesellschaft, dando vita a un periodico in cui sono raccolte le comunicazioni presentate ai numerosi congressi organizzati in Italia e all'estero, soprattutto in Paesi un tempo parte dell'Impero Austro-Ungarico (la lingua franca dell'Associazione era il Tedesco). Questa associazione fu molto importante per i giovani agli inizi della loro carriera, che in essa trovavano l'opportunità di incontrarsi, scambiare idee e comunicare i risultati delle loro ricerche.
Io conobbi Pignattti nei primi anni '70: mi propose di svolgere una tesi con lui, già dal primo anno di università, sulla vegetazione ad arbusti spinosi delle alte montagne del Mediterraneo: partimmo per la Sardegna, la Sicilia e la Calabria su un pullmino Volkswagen, con la famiglia Pignatti al completo, bambini inclusi. Fu un viaggio memorabile in cui imparai tantissimo. L'anno seguente Pignatti partì per una serie di conferenze in Giappone e mi affidò il completamento del suo corso di Botanica Sistematica (mancavano le Monocotiledoni). Al ritorno continuò a lavorare alacremente alla “Flora d'Italia”. La redazione della Flora tenne occupato Pignatti per più di un decennio. La creazione di un lavoro talmente impegnativo, unita alle incombenze amministrative, all'insegnamento, all'intensissima attività internazionale, alla ricerca e alla crescita di cinque figli piccoli, richiese a Pignatti una disciplina ferrea, in questo validamente aiutato dalla moglie Erika: assomigliava un po' a Kant, di cui si diceva che seguendone gli spostamenti tra casa e lavoro si potevano regolare gli orologi. Va sottolineato che quando iniziò a scrivere la Flora non esistevano i computer (con i programmi di videoscrittura) e non esisteva internet, per cui tutte le informazioni andavano acquisite in biblioteca. Ancor oggi, ogni volta che utilizzo la Flora, mi chiedo come fosse stato possibile crearla con una macchina da scrivere Olivetti (non elettrica) su quattro fogli di carta carbone. Quella macchina, su cui Pignatti dettò la Flora alla fida Fioretta Dusa, l'ho sempre tenuta nel mio studio mostrandola agli studenti come simbolo dei tempi che cambiano. Oggi l'ho lasciata a Lucia Muggia, che ha preso il mio posto come professore di Botanica Sistematica a Trieste.
Per quanto sia trascorso poco tempo, per molti è oggi difficile apprezzare la rapidità di quel fenomeno generalmente noto come "computer revolution". Verso gli inizi degli anni '70, quando ero studente, in Istituto si parlava spesso di un misterioso "Cervello Elettronico" che non vidi mai ma che immaginavo come un enorme e inquietante ammasso di valvole più o meno luminose...e forse aveva proprio un aspetto del genere. In compenso ci era concesso ammirare una rumorosissima macchina atta alla perforazione di migliaia di schede cartacee da parte non di poveri studenti sottopagati, ma dei nostri chiarissimi professori, tra cui in prima linea il Direttore dell'Istituto, Pignatti. L' Istituto di Botanica di Trieste, sotto la direzione di Pignatti, ebbe il merito storico di essere stato il primo in Italia a comprendere I'importanza dei computer per la ricerca geobotanica. In una breve nota del 1966, gia si annunciava un progetto per I'elaborazione, mediante un 'computer IBM 1620", di una considerevole mole di dati sulla fenologia delle faggete europee. Tre anni prima era stata realizzata, grazie agli sforzi di A. Marcello e di Pignatti, un'ampia collaborazione tra oltre cinquanta studiosi dell'Europa continentale per monitorare i ritmi di fioritura delle faggete europee. L'elaborazione venne eseguita con uno dei primi computer disponibili presso il neonato e all'epoca avveniristico Centro di Calcolo dell'Università di Trieste. I risultati di questo lavoro pionieristico apparvero nel 1973, in un articolo scritto in tedesco in collaborazione con Duilio Lausi, che ancor oggi è di grande
interesse sia storico che scientifico. L' analisi complessa di una mole impressionante di dati permise di individuare periodi caratteristici nella fioritura delle faggete europee, interpretabili quasi come ritmi endogeni della "fisiologia" di ecosistemi forestali. Non mi risulta che a tutt'oggi sia stato effettuato alcuno studio comparabile a quell'articolo di tanti anni fa.
Il passo successivo fu l'applicazione del computer all'elaborazione dei rilievi vegetazionali. Gli anni '70 del secolo scorso videro un impressionante sviluppo della scienza della vegetazione in tutta Europa, compresa I' Italia: migliaia di rilievi venivano pubblicati ogni anno, e sempre nuovi syntaxa, spesso descritti sulla base di pochi rilievi da aree ristrette, andavano ad inflazionare la nomenclatura fitosociologica. Il gruppo di Trieste, guidato da Pignatti e composto da sua moglie Erika, Cristofolini, Lausi e Poldini, aveva la buona abitudine di discutere a fondo - e spesso senza tanti complimenti - su queste problematiche, di solito all'ora del tè, preparato da Fioretta Dusa, cui spesso partecipavano anche gli studenti. I tempi erano maturi per applicare le enormi potenzialità del computer, sperimentate nel caso della fenologia delle faggete, anche all'elaborazione dei rilievi vegetazionali. Questa idea sfociò in un'importante pubblicazione a carattere teorico, presentata in occasione di uno dei convegni fitosociologici internazionali organizzati da Reinhold Túxen a Rinteln, che sollevò una vivacissima discussione. I Triestini vennero subito bollati con la qualifica di "die Mathematiker", o addirittura "die Heretiker". Pignatti mi raccontò che Duilio Lausi, con il suo tipico humour, propose di riassumere le nuove idee - alla maniera di Lutero - in poche tesi lapidarie da affiggere sulla porta della sala prima dell'inizio del congresso! E in effetti la Scuola Geobotanica Triestina si trovava in una posizione di avanguardia: un gruppo di "eretici" fondò il "Working Group for Data Processing" nell'ambito dell'Associazione Internazionale di Scienza della Vegetazione, di cui Pignatti era presidente. La prima riunione si svolse a Trieste nel 1969, e all'attività del Working Group - a posteriori - si debbono riconoscere molte delle basi teoriche e metodologiche della moderna scienza della vegetazione. L'applicazione pratica dell'informatizzazione dei dati fu tentata nell'ambito di un vasto progetto sulla sintassonomia della vegetazione alofila europea, cui prese parte un nuovo virgulto che si aggiungeva all'affiatato gruppo Triestino: Enrico Feoli. Questo progetto, che costituì uno dei primi e più importanti contributi dell'attività del Working Group, permise di sintetizzare I'informazione contenuta in centinaia di rilievi fitosociologici in un modello ottenuto per via numerica, favorendo ulteriori tentativi di definizione formalizzata delle operazioni intrinseche ai processi di classificazione della vegetazione. Due co-fondatori del Working Group furono il grande botanico olandese Eddy van der Maarel e László Orlóci, un botanico ungherese rifugiatosi in Canada nel 1956, che giocò un ruolo fondamentale nell'introduzione di metodi di analisi multivariata in ecologia vegetale.
Verso la fine degli anni '70 apparve miracolosamente in Istituto il primo vero terminale: era una "cosa" monumenlale, troneggiante in una specie di sacrario ad accesso ristretto. Dopo pochi anni i terminali si moltiplicarono, divennero sempre più piccoli, e permisero di effettuare senza problemi operazioni molto più complesse di quelle del misterioso e ormai decrepito "Cervello Elettronico". Feoli fu inviato in Canada quale allievo di Orlóci, divenendo il principale tramite per l'introduzione in Italia di metodiche di analisi multivariata che oggi sono diventate il pane quotidiano di qualsiasi dottorando.
L'interesse di Pignatti per gli sviluppi tecnico-scientifici lo portò alla creazione della prima “Banca Dati sulla Flora d'Italia”: la Flora non era ancora terminata, e tuttavia Pignatti riuscì a trovare il tempo di dettarmi, un'ora ogni pomeriggio, i dati che velocemente trasferivo su schede cartacee perforate. Fu uno dei primi esempi di banca dati floristica al mondo. Quando Pignatti si trasferì a Roma, mi chiese di inviargli le pesantissime casse di schede perforate, ma all'inizio ebbe vari problemi nel resuscitare la Banca Dati, in quanto le schede cartacee erano state ormai sostituite da nastri magnetici. Da allora mi è rimasto un grande interesse per le banche dati, unitamente a un grande scetticismo sulla loro permanenza nel tempo.
Nel 1983 iniziò un periodo critico per la "Scuola Triestina": Pignatti decise di trasferirsi a Roma. Gia da qualche anno il motore principale per tutti gli sviluppi precedenti si era ritirato in una specie di eremo in cui vedeva crcscere sia la sua "Flora d'Italia" sia - un po' da lontano - le personalità scientifiche, tutt'altro che banali, dei suoi ex-allievi e collaboratori. Terminata la Flora, Pignatti decise che gli ex-allievi erano cresciuti, che non avevano più bisogno di lui, e che, anzi, la sua presenza a Trieste avrebbe potuto costituire più un ostacolo che uno stimolo per il loro ulteriore sviluppo. Probabilmente fu un decisione saggia, più per gli allievi che per lui. In ogni caso, a Trieste bisognava
imparare a "camminare da soli": Poldini era ormai uno dei maggiori "botanici regionali" d'Europa, Feoli era una giovane promessa ormai lanciata a tutta velocità verso l'universo dell'ecologia numerica, Lausi iniziò a collaborare con me sullo studio della vegetazione di luoghi lontani come l'Alaska e la Terra del Fuoco e Cristofolini, che con i suoi studi di biosistematica aveva gia fatto spuntare un nuovo ramo sul tronco della scuola triestina, si trasferì presto a Bologna, lasciando a sua volta una serie di "orfani"...
Chi ha avuto la fortuna di conoscere Pignatti sa bene che egli non ha lasciato solo una serie di lavori fondamentali e innovativi, di stimoli e idee per una nuova generazione di ricercatori. Pignatti era una splendida persona, un vero Maestro, sempre pronto ad ascoltare e prodigo di consigli per i giovani. Soprattutto, Pignatti era un uomo di cultura. La sua era una cultura davvero Mitteleuropea, che spaziava dalla letteratura alla storia, alla conoscenza vissuta di mondi così diversi come quello Germanico e Latino. Con Pignatti si poteva parlare di tutto, dalla Naturphilosophie tedesca alla cultura giapponese. L' amore per la musica, soprattutto di Bach, svolse un ruolo importante nella sua vita: ogni anno a Pasqua venivamo invitati a casa dei Pignatti per ascoltare la Messa in Si minore di Bach. L'Istituto di Botanica da lui diretto era un ambiente estremamente stimolante per noi giovani: venivamo spesso coinvolti nelle discussioni scientifiche e invitati a interagire con i tanti botanici stranieri e italiani che venivano in pellegrinaggio a Trieste. Il corso monografico di Biologia Generale, tenuto da Pignatti, fu uno dei più interessanti che abbia mai seguito, con discussioni interminabili sui “Limiti dello Sviluppo”, sulla Teoria Generale dei Sistemi di Ludwig von Bertalanffy, sugli approcci olistici alla morfologia vegetale del botanico svizzero Eric Nelson. Ai tempi di Pignatti l'Istituto di Botanica, ben lontano dall'essere un mero esamificio, era un vero e proprio centro culturale, ove la cultura si formava – come dovrebbe sempre avvenire in una vera Università – attraverso una straordinaria dialettica tra docenti e studenti, una cultura di cui non sempre noi giovani ci rendevamo conto – così come dell'aria che respiravamo – che oggi sarebbe importante far ricrescere sul ceppo di una tradizione ormai divenuta "storica", cui Pignatti diede l'avvio e un apporto fondamentale. Un passo di un autore tanto amato da Pignatti, Wolfgang von Goethe, riflette bene lo spirito che lo ha animato nel percorrere e chiudere il suo personale cerchio magico della ricerca e della vita: "L' uomo conosce sè stesso soltanto nella misura in cui conosce il mondo che riconosce in sè, e in cui si riconosce".
Trieste, 19.06.2025
Pier Luigi Nimis
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Ultimo aggiornamento: 20-06-2025 - 17:30