Al laboratorio afferiscono, come personale strutturato, 1 Professore Ordinario (Antonio Terlizzi) e 3 Professori Associati (Massimo Avian, Monia Renzi e Stanislao Bevilacqua). Le linee di ricerca del laboratorio spaziano dall’Ecotossicologia e Valutazione di Impatto Ambientale, alla Tassonomia ed Ecofisiologia del plancton gelatinoso, alla definizione di cicli vitali di Spugne, Cnidari, Gasteropodi, Echinodermi, Pesci e alla quantificazione dei pattern di biodiversità di organismi marini.
Gli habitat considerati sono quelli di ambiente pelagico, intertidale, subtidale, profondo e di grotte sommerse. L’attività, su fondi rocciosi, fanerogame marine e fondi molli riguarda prevalentemente la quantificazione della biodiversità di meiofauna, macrofauna vagile e sessile e come le alterazioni di modalità distributive spaziali e temporali di specie e popolamenti possono essere utilizzate in procedure rigorose di biomonitoraggio sperimentale. Alcune delle procedure di impostazione di disegni sperimentali e di analisi dei dati di più ampio utilizzo in valutazione di impatto ambientale sono state qui elaborate, e in collaborazione con importanti enti di ricerca italiani ed esteri, estese, per la prima volta, dal contesto univariato a quello multivariato. Le sorgenti di disturbo antropico considerate sono state la pesca intensiva, la pesca distruttiva, scarichi fognari, aree portuali, impianti di maricoltura, piattaforme offshore per l’estrazione di idrocarburi, human trampling.
Il laboratorio si occupa anche di valutare le risposte di popolazioni e comunità agli impatti antropici mediante approccio ecotossicologico. Attraverso test in vivo e in vitro sono valutate le risposte di tipo biochimico, morfo-biometrico, fisiologico e comportamentale derivanti dall’esposizione a inquinanti in presenza o meno di perturbazioni ambientali. Questo approccio permette di stimare gli effetti delle pressioni antropiche su specie sensibili, popolazioni, comunità e le conseguenti ricadute sulla rete trofica marina anche in relazione a scenari ambientali futuri (global change).
Nel Laboratorio si contribuisce anche attivamente a chiarire gli effetti dell’istituzione di Aree Marine Protette sui popolamenti sessili di substrato duro e come interventi di mitigazione possano influenzare capacità ecosistemiche di risposta di popolamenti ittici e bentonici di fondo duro ad eventi perturbativi. Punto centrale della nostra attività è cercare di coordinare rigore metodologico nella definizione dei disegni sperimentali ad una adeguata definizione tassonomica delle variabili utilizzate. A tal fine, una cospicua attività di ricerca è stata focalizzata sull’applicabilità degli indici sintetici di biodiversità, sull’importanza della tassonomia negli studi di impatto e sui livelli tassonomici richiesti nelle procedure di monitoraggio di routine per la misura del cambiamento nei pattern spaziali e temporali di livelli alfa e beta della diversità animale.
1) Impatto di metaboliti da specie invasive sui sistemi biologici ed ecologici del Mediterraneo
L’invasione di specie aliene rappresenta una seria minaccia per gli habitat marini di tutto il Mediterraneo con impatti molto gravi sulla biodiversità e sul funzionamento degli ecosistemi. Le specie invasive hanno effetti negativi anche su attività economiche, quali pesca e acquacoltura, e possono agire da vettori di malattie con impatti sulla fauna selvatica e sulla salute umana.
La valutazione dell'impatto causato dalle specie invasive non indigene sulle comunità naturali, habitat ed ecosistemi è considerato un indicatore specifico per la determinazione dello stato ambientale all'interno delle politiche dell'UE come la Direttiva quadro sulla strategia marina (MSFD).
L'introduzione di specie non indigene a livelli che non alterano negativamente gli ecosistemi è, infatti, uno (n°2) degli 11 descrittori qualitativi richiesti per il raggiungimento e il mantenimento del buono stato ambientale (GES).
Mentre molto studiati sono stati finora gli impatti diretti sulla biodiversità, molto poco si sa sugli impatti indiretti e, quindi più subdoli, delle molecole prodotte dalle specie aliene invasive sugli ecosistemi e sulle comunità marine.
I metaboliti prodotti dalle specie aliene invasive possono, infatti, accumularsi ed essere trasferiti lungo la catena trofica, con impatti sulla biodiversità e il funzionamento degli ecosistemi, con danni all’industria ittica e alla salute umana. In tale ambito, una serie di lavori sono stati pubblicati incentrati sull’effetto dei metaboliti secondari sintetizzati dall’alga verde Caulerpa cylindracea sul sarago maggiore Diplodus sargus (Terlizzi et al. 2011; Felline et al. 2012, 2014, 2017; Gorbi et al. 2014; Ferramosca et al. 2016; De Pascali et al. 2015; Magliozzi et al. 2017).
Distesa di Caulerpa cylindracea all'interno dell'Area Marina Protetta di Torre Guaceto (LE), Italia
Dal momento che queste sostanze posseggono una elevata attività biologica, abbiamo suggerito il possibile sfruttamento delle biomasse invasive per ottenere sostanze chimiche naturali da utilizzare in campo farmacologico/biotecnologico, rendendo redditizio il controllo delle popolazioni invasive, e, al tempo stesso, riducendo l’impatto da esse causato sugli ecosistemi naturali.
Una delle linee di ricerca che il Laboratorio di Zoologia e Biologia Marina dell’Università di Trieste sta portando avanti, è dunque, incentrata sulle relazioni causa-effetto tra specifici metaboliti da specie invasive e le risposte biochimiche, tossicologiche e comportamentali in popolazioni selvatiche di pesci. La ricerca che si sta portando avanti, mira a far luce sui meccanismi molecolari alla base dei cambiamenti osservati sulla biodiversità nativa e a fornire gli strumenti informativi necessari per uno sfruttamento biotecnologico sostenibile delle alghe invasive. Ciò potrebbe contribuire a ridurre l'impatto delle invasioni sugli ecosistemi, ed al tempo stesso offrire nuove opportunità per le società costiere del Mediterraneo, stimolando la nascita di piccole imprese dedite alla trasformazione delle biomasse algali.
Inquadramento generale della linea di ricerca sull’alga verde invasiva Caulerpa cylindracea
Intervista al prof. Terlizzi sul mistero del “Sarago di gomma” (da "La Repubblica")
2) Dinamica ed effetti delle Micro- e Nano- plastiche in organismi marini
L’inquinamento da marine litter è stato definito come una delle peggiori minacce per la salute degli oceani, al pari del riscaldamento globale o dell’acidificazione dei mari, con potenziali conseguenze anche per la salute dell’uomo. L’Unione Europea, con l’emanazione della Strategia Marina (2008/56/CE), pone ulteriore attenzione a questo fenomeno di scala globale, focalizzando l’interesse della comunità scientifica sulla frazione più invisibile del marine litter, quella rappresentata da particelle di dimensioni inferiori ai 5 mm.
Le microplastiche (1 µm - 5 mm) e la frazione ancor più piccola delle nanoplastiche (<1 µm), possono rappresentare un rischio maggiore proprio a causa delle loro ridotte dimensioni che le rendono biodisponibili anche ai più bassi livelli trofici e ne permettono l’interazione a diversi livelli d’organizzazione biologica penetrando anche le barriere cellulari. Inoltre, le nanoplastiche hanno manifestato proprietà e reattività accentuate nei confronti del mezzo in cui si trovano. Questo comporta la possibilità di interferire con la biochimica degli organismi esposti oppure di aumentare la capacità di adsorbimento di sostanze inquinanti e/patogeni già presenti nell’acqua facilitandone dunque l’introduzione nei sistemi biologici. Le nanoplastiche, quindi, rappresentano un nuovo potenziale vettore di contaminazione i cui meccanismi d’azione sono ancora da chiarire.
Nonostante il crescente interesse del mondo scientifico, tradotto in un significativo aumento delle pubblicazioni sul tema, molti aspetti relativi alla dinamica di tossicità delle plastiche non sono note. Per queste ragioni, i nostri ricercatori stanno lavorando sulla complessità di tali meccanismi focalizzando l’attenzione su specie chiave del Mar Mediterraneo e già riconosciute come organismi modello in ecotossicologia (i.e., Vibrio fischeri, Phaeodactilum tricornutum, Paracentrotus lividus, Mytilus galloprovincialis). Inoltre, di recente, il laboratorio ha puntato l’attenzione anche su una specie non endemica del Mediterraneo, il pesce pagliaccio il quale oltre a vantare di fama mondiale per il noto film d’animazione per bambini, ha anche destato l’interesse di molti biologi molecolari ed ecologi e si presenta come possibile target di contaminazione da plastiche in zone di reef tropicale. Indubbiamente una linea di ricerca innovativa, stimolante e dalle mille sfide.
da Piccardo et al., 2020 (https://doi.org/10.1016/j.scitotenv.2020.136947)
3) Sovrapposizione tra fioriture di meduse e ittioplancton: interazioni biologiche e conseguenze ecologiche
Negli ultimi anni lo zooplancton gelatinoso (meduse, sifonofori, ctenofori, etc.) è stato protagonista di blooms sempre più frequenti in tutte le parti del globo. La loro abbondanza (e in certi casi dominanza della colonna d’acqua) ha portato alla teorizzazione del fenomeno “from a fish to a jellyfish ocean” (da un mare di pesci a un mare di meduse). Le cause di questo fenomeno sono molteplici e svariano dal riscaldamento globale ad impatti diretti legati alle attività antropiche come l’overfishing.
Scenario dal pesce alle meduse (da Pauly et al., 1998, DOI:10.1126/science.279.5352.860)
Questi “jellyfish blooms” possono avere effetti significativi a diversi livelli: ecosistemico, economico, sanitario. In particolare, meduse, sifonofori e ctenofori possono interagire con la componente ittica degli ecosistemi in vari modi tra cui: 1) predazione diretta di uova e larve di pesce da parte dello zooplancton gelatinoso, 2) competizione tra zooplancton gelatinoso e fasi larvali di pesce per le stesse risorse e 3) ruolo dello zooplancton gelatinoso come potenziale ospite intermedio nei cicli vitali di parassiti di specie ittiche.
Esempio di rete trofica comprendente il plancton gelatinoso (credit: Ferdinando Boero)
Queste interazioni sono rilevanti in quanto si pensa possano provocare una riduzione del reclutamento e dell’abbondanza delle specie ittiche coinvolte, causando notevoli danni sia a livello ecosistemico che economico (attività di pesca e acquacoltura). Ciononostante, questi temi non sono ancora stati adeguatamente studiati e la componente gelatinosa dello zooplancton è considerata un personaggio secondario nei meccanismi ecologici. Attualmente, organizzazioni come la EU-DG Mare e il GFCM (FAO) stimolano la ricerca e l’approfondimento di queste tematiche così da capire a fondo il fenomeno ed ottenere nuovi strumenti per la gestione degli ecosistemi marini.
4) Conservazione e monitoraggio della biodiversità marina
La pressione antropica sugli ecosistemi marini ha raggiunto livelli senza precedenti, minando la stabilità di questi sistemi attraverso il deterioramento dell’ambiente, la riduzione della biodiversità associata e l’erosione del loro potenziale di resilienza. Comprendere gli effetti di tali alterazioni sul funzionamento degli ecosistemi marini, affinare i metodi di valutazione degli impatti antropici e implementare strategie di mitigazione efficaci e fondamentale per gestire e mantenere la struttura e la funzione dei sistemi marini, insieme ai beni e servizi che essi forniscono all’uomo. La ricerca in questi campi finora ha spesso riguardato singole sorgenti di impatto, singole specie o singoli aspetti della struttura delle comunità marine, trascurando una visione integrata delle diverse componenti della diversità.
Per questo la nostra ricerca si concentra sullo studio delle relazioni tra diversità locale, beta diversità e diversità regionale in maniera trasversale, coinvolgendo sia gli aspetti tassonomici e filogenetici sia quelli funzionali, e su come tali relazioni possano essere sfruttate per migliorare e ottimizzare le strategie di conservazione e il monitoraggio dello stato dei sistemi marini. I nostri studi sono rivolti a definire nuove metodologie nell’ottimizzazione delle procedure di monitoraggio basate sull’uso di surrogati delle specie, a migliorare le procedure per l’analisi dei cambiamenti della biodiversità marina a scala regionale, e a mettere in luce il ruolo fondamentale dell’eterogeneità nella distribuzione spaziale e temporale delle specie e dei loro tratti funzionali, nell’identificare gli effetti della pressione antropica e nel guidare l’implementazione di network di aree marine protette.
5) Ecotossicologia
L’ecotossicologia è una disciplina scientifica relativamente recente nata verso la fine degli anni ’60 che integra discipline classiche come l’ecologia, la tossicologia ambientale e la chimica e che studia gli effetti di inquinanti su comunità ed ecosistemi a diverso livello di scala gerarchica con la finalità di perseguire più efficacemente la tutela dell’ambiente. Il principale interesse di questo settore delle ricerche è quello di capire come gli effetti dell’inquinamento ambientale possano interferire con le popolazioni naturali e le comunità. L’esposizione a sostanze tossiche può produrre effetti subletali indiretti che alterano la fitness ecologica di individui e modificano le reti trofiche. Infatti, può alterare il tasso di crescita e i tempi necessari al raggiungimento della maturità sessuale, la performance competitiva per le risorse trofiche e il comportamento di feeding e breeding ma anche l’adattamento e il tempo medio di sopravvivenza. A livello di popolazione, può indurre effetti sulle interazioni interspecifiche, sul rapporto tra sessi e sul successo di schiusa; mentre a livello di comunità può alterare le interazioni interspecifiche, la competizione e predazione e indurre una maggiore sensibilità a parassiti e patogeni.
Le ricerche ecotossicologiche si basano sulla realizzazione di test in vivo ed in vitro su organismi, popolazioni e comunità e tengono in considerazione le risposte di indicatori di stress di tipo molecolare, biochimico, istologico, morfologico, biometrico, fisiologico o comportamentale.
Di particolare interesse specifico sono lo sviluppo e standardizzazione di biomarcatori precoci di stress di tipo non distruttivo applicabili anche a specie protette e soggette a tutela. Altro settore di grande interesse è rappresentato dallo studio di effetti derivanti dall’esposizione a miscele di contaminanti ambientali a concentrazioni subletali. Il gruppo di ricerca si occupa di valutare effetti di contaminanti classici e di nuova generazione come nanoparticelle, micro- e nanoplastiche, prodotti cosmetici e farmaceutici sull’ecosistema marino e di valutare gli effetti associati agli scenari di variazione delle condizioni ambientali derivanti da fenomeni di cambiamento globale.